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Autovelox : la taratura elemento essenziale

News 6 Luglio 2015

SENTENZA N. 113 ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo’ ZANON,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimitacostituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento vertente tra T. M. e la Prefettura di Cuneo con ordinanza del 7 agosto 2014, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 aprile 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 7 agosto 2014, iscritta al r.o. n. 206 del 2014, la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questione di legittimitacostituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

La Corte rimettente riferisce che la conduttrice ed il proprietario di un’autovettura adivano il Giudice di pace di Mondovi’, opponendosi al provvedimento del Prefetto di Cuneo con il quale era stato respinto il loro ricorso avverso il verbale della Polizia stradale di Cuneo per violazione dell’art. 142, comma 8, del d.lgs. n. 285 del 1992.

I ricorrenti impugnavano il citato provvedimento dinnanzi al giudice di prime cure. Si costituiva in giudizio la Prefettura, contestando l’avversa opposizione.

Il Giudice di pace di Mondovi’ rigettava con sentenza il ricorso, confermando il verbale e l’ordinanza del Prefetto di Cuneo.

Successivamente i citati ricorrenti proponevano appello al Tribunale ordinario di Torino e la Prefettura resisteva, chiedendo il rigetto per infondatezza.

Il Tribunale di Torino confermava l’impugnata sentenza.

In entrambi i gradi di giudizio e’ rimasto controverso il corretto funzionamento dell’autovelox, in relazione al quale non e’ stato concesso alcun accertamento.

Avverso detta decisione di appello i ricorrenti proponevano ricorso in Cassazione. Resisteva con controricorso la Prefettura di Cuneo.

In punto di rilevanza, la Corte di cassazione riferisce che, nell’ambito degli otto quesiti formulati ai sensi dell’art. 366-bis del codice di procedura civile, la soluzione del terzo e quarto motivo di ricorso imporrebbe di affrontare la problematica della necessita’ della verifica periodica delle apparecchiature predisposte per l’accertamento e misurazione della velocita‘.

A giudizio del giudice rimettente, quindi, occorre vagliare la legittimitacostituzionale dell’esenzione per talistrumenti da una procedura di verifica periodica del loro funzionamento.

In particolare con il terzo motivo di ricorso si censura la «violazione o, comunque, falsa applicazione di norme di diritto, ovvero della legge 11.08.1991 n. 273, dell’art. 4 del decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento per i Trasporti Terrestri, Direttore Generale Motorizzazione n. 1123 del 16.05.2005 ed ancora delle norme internazionali UNI 30012, UNI EN 10012 e delle raccomandazioni OIML D19 e D20, [nelle quali e’ prevista] la taratura periodica per leapparecchiature di rilevazione della velocita‘ – art. 360 n. 3 c.p.c.». Con il quarto motivo di ricorso, collegato al precedente, le parti ricorrenti lamentano una carenza motivazionale della impugnata sentenza in relazione ad un «fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero il regolare funzionamento dell’autovelox». Inoltre anche il primo ed il secondo motivo di ricorso sarebbero in via mediata coinvolti dalla soluzione della questione di legittimitacostituzionale sollevata, poiche’ attengono alla motivazione ed all’eventuale violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 del codice civile in relazione all’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e all’art. 205 del d.lgs. n. 285 del 1992, quanto alla «avvenuta o meno dimostrazione» della regolarita’ del detto rilevatore di velocita‘.

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la Corte di cassazione prende le mosse dal proprioconsolidato orientamento secondo il quale le apparecchiature elettroniche per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocita‘ di cui all’art. 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992, non devono essere sottoposte alla procedura diverifica periodica. Secondo detto orientamento possono evitarsi i «controlli previsti dalla legge n. 273 del 1991 istitutiva del sistema nazionale relativo alla verifica della taratura poiche’ esso attiene alla materia c.d. metrologica, che e’ diversa rispetto a quella della misurazione elettronica della velocita‘» (si cita la sentenza della Corte di cassazione, seconda sezione civile, 19 novembre 2007, n. 23978). La Corte di cassazione si sarebbe espressa in piu’ pronunce nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimitacostituzionale degli artt. 45, comma 6, e 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992, 4, comma 3, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 168 e 345 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost. (si citano le sentenze della Corte di cassazione, seconda sezione civile, 15 dicembre 2008, n. 29333 e n. 29334).

Il giudice rimettente ricorda come la Corte costituzionale con la sentenza n. 277 del 2007 abbia gia’ esaminato e deciso la questione di legittimitacostituzionale dell’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., ritenendo non fondata la questione per erronea individuazione da parte del giudice rimettente del termine di comparazione nel decreto del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato 28 marzo 2000, n. 182 (Regolamento recante modifica ed integrazione della disciplina della verificazione periodica degli strumenti metrici in materia di commercio e di camere di commercio), anziche’ nell’art. 2, comma 1, della legge 11 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale di taratura). In quella sede tuttavia la Corte costituzionale avrebbe svolto affermazioni, che indurrebbero ad una riconsiderazione della questione. In particolare, la Corte costituzionale avrebbe rilevato che ilrimettente non avrebbe sperimentato l’applicazione della normativa generale del 1991 alla luce del sistema internazionale delle unita’ di misura SI.

Ritenuta pertanto la perdurante rilevanza della questione, e reputando ormai consolidato il diritto vivente a seguito degli uniformi e costanti indirizzi ermeneutici della Corte di cassazione, della cui legittimitacostituzionale egli dubita, ilrimettente assume che la norma impugnata consentirebbe, in modo del tutto irragionevole, che le apparecchiaturedestinate all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ possano essere utilizzate nello svolgimento di accertamenti irripetibili sulla base di una presunzione di corretto funzionamento «anche a distanza di lustri» basata sulla «sola conformita’ al modello omologato».

A tal fine egli prospetta il dubbio di legittimitacostituzionale in riferimento all’art. 3 Cost. sotto i seguenti profili: a) «per l’assoluta irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che [consentirebbe l’esclusione] dall’applicazione della […]normativa generale, anche internazionale, in tema di misura ricomprendente pure la velocita‘ come unita’ derivata»; b) «con riguardo, come tertium comparationis, alla normativa di cui alla legge 1 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale di taratura), che prevede anche la velocita‘ quale unita’ di misura derivata»; c) «con riferimento […] allanormativa comunitaria (Norme UNI EN 30012 – parte 1 come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] il dovuto e relativo adeguamento del nostro ordinamento»; d) per la palese irragionevolezza di un sistema che consente di dare certezza giuridica e inoppugnabilita’ ad accertamenti irripetibili – fonti di potenziali gravi conseguenze per chi vi e’ sottoposto – svolti da complesse apparecchiature senza che la loro efficienza e buon funzionamento siano soggette averifica «anche a distanza di lustri».

2.– Con atto di intervento depositato il 9 dicembre 2014 si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale chiede che la questione di legittimita‘ sollevata sia dichiarata inammissibile ovvero infondata.

L’Avvocatura generale dello Stato osserva che in base alla normativa europea di riferimento, concernente il sistema UNI EN 30012 di cui alla direttiva 28 marzo 1983, n. 83/189/CEE (Direttiva del Consiglio che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche), recepita nel nostro ordinamento con la legge 21 giugno 1986, n. 317 (Procedura d’informazione nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della societa’ dell’informazione in attuazione della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 luglio 1998), tutti glistrumenti di misurazione dovrebbero essere sottoposti a taratura. Inoltre la legge n. 273 del 1991 individua gli istituti metrologici primari (IMP), i quali insieme ai centri di taratura costituirebbero il relativo sistema nazionale. Detti centri provvederebbero ad eseguire tutti i controlli richiesti ai fini dell’emissione del “certificato di taratura‘, non essendo consentito lo svolgimento di questa funzione ne’ alla ditta produttrice, ne’ a quella distributrice dell’autovelox. La citata sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 2007 avrebbe rafforzato l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di merito nel senso della necessita’ della taratura per le apparecchiature di rilevazione della velocita‘ ai fini della validita’ dell’accertamento, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di cassazione anche successivamente. Da quanto rilevato, a giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato, discenderebbe l’inammissibilita’ della questione di legittimitacostituzionale sollevata. Difatti, secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale, allorche’ piu’ opzioni interpretative siano in astratto adottabili, il giudice dovrebbe scegliere l’interpretazione conforme a Costituzione (si citano le sentenze n. 192 del 2007, n. 356 del 1996 e le ordinanze n. 451 e n. 121 del 1994). Inoltre la questione proposta non dovrebbe risolversi nella prospettazione di meri dubbi ermeneutici e alla Corte costituzionale non spetterebbe il ruolo di giudice delle interpretazioni della Corte di cassazione (si citano le ordinanze n. 98 del 2006 e n. 3 del 2002).

L’inammissibilita’ potrebbe desumersi altresi’ dalla considerazione che, sulla base della stessa giurisprudenzacostituzionale, l’autonomia ermeneutica del giudice delle leggi non avrebbe natura illimitata, ma dovrebbe necessariamente arrestarsi di fronte ad un orientamento interpretativo adeguatamente consolidato delle Corti superiori e tale da assumere valenza di significato obiettivo della normativa, cosi’ da concretizzare la nozione di “diritto vivente’ (si cita la sentenza n. 350 del 1997).

Nel caso in esame l’orientamento secondo il quale le apparecchiature elettroniche di rilevamento della velocita‘ non necessiterebbero ai sensi dell’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 di sottoposizione alla verifica periodica sarebbe stato ribadito in varie occasioni dalle sezioni semplici della Corte di cassazione (si citano l’ordinanza 17 settembre 2012, n. 15597 e le sentenze n. 29334 e 29333 del 2008, n. 23978 del 2007), ma contrasterebbe con il consistente orientamento di segno opposto dei giudici di merito.

La questione sarebbe inoltre manifestamente infondata, in quanto la materia dell’impiego e della manutenzione dei misuratori di velocita‘ avrebbe una propria disciplina – specifica rispetto alle norme che regolamentano gli altri apparecchi di misura – contenuta nel decreto del Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) del 29 ottobre 1997 (Approvazione di prototipi di apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocita‘ e loro modalita’ di impiego). L’art. 4 del citato decreto ministeriale stabilendo che «Gli organi di Polizia stradale interessati all’uso delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocita‘ sono tenuti a […] rispettare le modalita’ di installazione e di impiego previste nei manuali d’uso», escluderebbe la necessita’ di un controllo periodico finalizzato allataratura dello strumento di misura se non espressamente richiesto dal costruttore nel manuale d’uso depositato presso il Ministero dei trasporti al momento della richiesta di approvazione ovvero nel decreto di approvazione. Inoltre la verificadella corretta funzionalita’ e la vigilanza su eventuali anomalie e malfunzionamenti delle apparecchiature approvate dal Ministero dei trasporti impiegate esclusivamente in presenza e sotto il costante controllo di un operatore di polizia stradale sarebbe effettuata dagli stessi operatori durante tutto il servizio secondo le indicazioni fornite dal costruttore. Solo i misuratori di velocita‘ utilizzati in modalita’ completamente automatica dovrebbero essere sottoposti ad una verificametrologica presso la casa costruttrice, abilitata dalla certificazione di qualita’ secondo le norme ISO 9001 e seguenti, ovvero presso uno dei soggetti accreditati dal Sistema nazionale di taratura ai sensi della legge n. 273 del 1991, con cadenza almeno annuale ovvero conformemente alle indicazioni contenute nel certificato di approvazione e dalle istruzioni di funzionamento fornite dal costruttore.

Considerato in diritto

1.— Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di cassazione, seconda sezione civile, ha sollevato questione dilegittimitacostituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che le apparecchiature destinate all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita’ e di taratura, in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

1.1.– Questione analoga a quella in esame era stata sollevata dal Giudice di pace di Dolo (ordinanza iscritta al n. 210 del registro delle ordinanze del 2007) nei confronti della stessa disposizione in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. in ragione della diversa disciplina dettata dal decreto ministeriale 28 marzo 2000, n. 182 (Regolamento recante modifica ed integrazione della disciplina della verificazione periodica degli strumenti metrici in materia di commercio e di camere di commercio), in tema di verifica degli strumenti di misura utilizzati per la determinazione della quantita’ o del prezzo nelle transazioni commerciali.

Nella citata occasione questa Corte ha rilevato l’erronea individuazione di tale tertium comparationis, non attinente alla misurazione della velocita‘ ai fini dell’accertamento delle violazioni del codice della strada, dichiarando non fondata la questione come proposta dal rimettente (sentenza n. 277 del 2007).

Nel censurare la ricostruzione del quadro normativo e nel ritenere errata l’individuazione della norma rispetto alla quale veniva lamentata un’irragionevole disuguaglianza – poiche’ il richiamato decreto ministeriale n. 182 del 2000 costituisce disciplina secondaria afferente agli strumenti di misura utilizzati nei rapporti commerciali – questa Corte ha affermato in quella sede che il giudice a quo non aveva «sperimentato l’applicazione della normativa generale del 1991 alla luce del sistema internazionale delle unita’ di misura SI, che comprende la velocita‘ come unita’ derivata».

Con l’ordinanza in epigrafe il giudice a quo sostiene che la Corte costituzionale, non ritenendo fondata la questione solo per erronea individuazione da parte del giudice rimettente del termine di comparazione, avrebbe svolto affermazioni suscettibili di migliore considerazione da parte della Corte di cassazione. Quest’ultima avrebbe invece confermato il precedente orientamento interpretativo circa l’impugnato art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992.

Ritenuta pertanto la perdurante rilevanza della questione e reputando ormai consolidato il diritto vivente a seguito degli uniformi e costanti indirizzi ermeneutici della Corte di cassazione, della cui legittimitacostituzionale il rimettente dubita, questi assume che la norma impugnata consentirebbe, in modo del tutto irragionevole, che le apparecchiature destinate all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ possano essere utilizzate nello svolgimento di accertamenti irripetibili sulla base di una presunzione di corretto funzionamento, fondata sulla «sola conformita’ al modello omologato» «anche a distanza di lustri».

A tal fine egli prospetta il dubbio di legittimitacostituzionale in riferimento all’art. 3 Cost. sotto i seguenti profili: a) «per l’assoluta irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che [consentirebbe l’esclusione] dall’applicazione della […]normativa generale, anche internazionale, in tema di misura ricomprendente pure la velocita‘ come unita’ derivata»; b) «con riguardo, come tertium comparationis, alla normativa di cui alla legge 1 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale di taratura), che prevede anche la velocita‘ quale unita’ di misura derivata»; c) «con riferimento […] allanormativa comunitaria (Norme UNI EN 30012 – parte 1 come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] il dovuto e relativo adeguamento del nostro ordinamento»; d) per la palese irragionevolezza di un sistema che consente di dare certezza giuridica e inoppugnabilita’ ad accertamenti irripetibili – fonti di potenziali gravi conseguenze per chi vi e’ sottoposto – svolti da complesse apparecchiature senza che la loro efficienza e buon funzionamento siano soggette averifica «anche a distanza di lustri».

1.2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Secondo l’Avvocatura le censure del giudice rimettente sarebbero inammissibili in quanto costituenti meri dubbi ermeneutici o quesiti di ordine interpretativo, la cui risoluzione spetterebbe a lui stesso e non a questa Corte. Egli non avrebbe, in sostanza, sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, idonea a sottrarla al dubbio di costituzionalita’.

Altro motivo d’inammissibilita’ deriverebbe dai limiti dell’autonomia interpretativa di questa Corte, che dovrebbe comunque arrestarsi di fronte all’orientamento ermeneutico della Corte di cassazione, ormai consolidato e, pertanto, assurto a rango di diritto vivente.

In ogni caso la questione posta in riferimento all’art. 3 Cost. sarebbe manifestamente infondata, in quanto l’art. 4 del decreto del Ministero dei lavori pubblici del 29 ottobre 1997 (Approvazione di prototipi di apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocita‘ e loro modalita’ di impiego) escluderebbe la necessita’ di controlli periodici di taratura e funzionamento degli strumenti di misura impiegati sotto il controllo costante degli operatori di polizia stradale, essendo riservata la procedura di verifica solo alle apparecchiature utilizzate con modalita’ completamente automatiche.

2.– In via preliminare va precisato che dalla parte motivazionale della ordinanza di rimessione si deduce come le censure formalmente rivolte all’intero art. 45 del codice della strada debbano intendersi riferite solo al comma 6 (in senso conforme, ex multis, sentenza n. 121 del 2010), il quale – nel regolare l’uniformita’ della segnaletica, dei mezzi di controllo e delle omologazioni – si riferisce, tra l’altro, alle apparecchiature in questione, prescrivendo che «Nel regolamento sono precisati i segnali, i dispositivi, le apparecchiature e gli altri mezzi tecnici di controllo e regolazione del traffico, nonche’ quelli atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, ed i materiali che, per la loro fabbricazione e diffusione, sono soggetti all’approvazione od omologazione da parte del Ministero dei lavori pubblici, previo accertamento delle caratteristiche geometriche, fotometriche, funzionali, di idoneita’ e di quanto altro necessario. Nello stesso regolamento sono precisate altresi’ le modalita’ di omologazione e di approvazione». È questa la disposizione dalla quale deriva il costante orientamento ermeneutico della Corte di cassazione, della cui legittimita‘ dubita il giudicerimettente.

3.– I profili di censura precedentemente indicati sub a), b) e c) sono inammissibili.

Quanto alla pretesa «irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che [consentirebbe l’esclusione] dall’applicazione della […] normativa generale, anche internazionale, in tema di misura ricomprendente pure la velocita‘ come unita’ derivata», e’ evidente la genericita’ della motivazione della ordinanza di rimessione in ordine alla violazione dell’art. 3 Cost. Invero il rimettente si e’ limitato ad enunciare la violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza della disposizione censurata con un riferimento generico alla disciplina nazionale ed internazionale senza un’adeguata individuazione di dette normative. Cio’ impedisce di comprendere quali siano i profili di disparita’ dedotti.

Quanto al richiamo, come tertium comparationis, della legge 11 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale ditaratura), lo stesso rimettente non considera che la normativa in questione non contiene alcun precetto del tipo di quello reclamato in antitesi all’orientamento della Corte di cassazione. In modo significativo, egli omette di individuare la norma specifica che prevederebbe l’obbligo di revisione periodica della taratura e del funzionamento degli strumenti di misura, individuazione peraltro impossibile poiche’ nessuna disposizione di tale legge – afferente all’organizzazione istituzionale della taratura in se’ e non alle modalita’ di controllo delle diverse apparecchiature interessate alla taratura – contiene un precetto di tal genere.

Per quel che riguarda, infine, l’individuazione come parametro della «normativa comunitaria (Norme UNI EN 30012 – parte 1 come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] il dovuto e relativo adeguamento del nostro ordinamento», questa Corte condivide l’orientamento della Corte di cassazione, secondo cui «non e’ vincolante la normativa UNI EN 30012 (Sistema di Conferma Metrologica di Apparecchi per Misurazioni) che, in assenza di leggi o regolamenti di recepimento, rappresenta unicamente un insieme di regole di buona tecnica, impropriamente definite “norme’, alle quali, in assenza di obblighi giuridici, i costruttori decidono autonomamente di conformarsi» (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 15 dicembre 2008, n. 29333).

4.– La questione di legittimita‘ direttamente sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della palese irragionevolezza della norma impugnata supera invece il vaglio di ammissibilita’.

Non e’ condivisibile a tal proposito l’eccezione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui il giudice a quo non avrebbe sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione. È vero che l’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 non esonera espressamente le apparecchiature destinate all’accertamento dei limiti di velocita‘ dalle operazioni di verifica periodica inerenti alla taratura ed al funzionamento e che ben si potrebbe nel caso in esame ricavare dal testo della disposizione un’interpretazione opposta a quella della Corte di cassazione nel senso di un’implicita prescrizione di verifica periodica di tali sofisticate apparecchiature, la quale sarebbe coerente con l’assunto di base dello stesso giudice rimettente.

Tuttavia, lo stesso giudice a quo richiama come ostativa a detta soluzione ermeneutica l’esistenza di un diritto vivente orientato in senso diametralmente opposto, il quale ribadisce costantemente che «non si ravvisano ragioni per ritenere che la mancata previsione di controlli periodici della funzionalita’ delle apparecchiature in questione nella disciplina dell’accertamento delle violazioni ai limiti di velocita‘ comporti vizi di legittimitacostituzionale della pertinente normativain relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Carta fondamentale» (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 15 dicembre 2008, n. 29333; in senso conforme, Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 22 dicembre 2008, n. 29905, sentenza 5 giugno 2009, n. 13062, sentenza 23 luglio 2010, n. 17292, nonche’, da ultimo, Corte di cassazione, sesta sezione civile, sentenza 6 ottobre 2014, n. 20975).

Dalle espresse considerazioni si ricava che – malgrado l’incontrovertibile orientamento di questa Corte secondo cui «In linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche’ e’ possibile darne interpretazioni incostituzionali» (ex multis, sentenza n. 356 del 1996) e conseguentemente, di fronte ad alternative ermeneutiche di questo tipo, debba essere privilegiata quella che il giudice ritiene conforme a Costituzione – nel caso di specie occorre considerare che l’interpretazione, della cui legittimita‘ dubita il rimettente, corrisponde al consolidato orientamento della Corte di cassazione, gia’ in essere prima del precedente scrutinio di costituzionalita’ avvenuto con la sentenza n. 277 del 2007 (ex plurimis, Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenze 5 giugno 1999, n. 5542 e 22 giugno 2001, n. 8515) e successivamente ribadito piu’ volte dalle citate sentenze del giudice nomofilattico anche dopo il pronunciamento di questa Corte.

Ne deriva che «Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo […] di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), e’ altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza – al punto da acquisire i connotati del “diritto vivente’ – e’ ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimita‘ e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalita’, poiche’ la norma vive ormai nell’ordinamento in modo cosi’ radicato che e’ difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore o di questa Corte. In altre parole, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perche’ ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facolta’ di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure – adeguandosi al diritto vivente – la proposizione della questione davanti a questa Corte; mentre e’ in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta piu’ adeguata ai principi costituzionali (cfr. ex plurimis sentenze n. 226 del 1994, n. 296 del 1995 e n. 307 del 1996)» (sentenza n. 350 del 1997).

Non puo’ essere neppure condiviso l’argomento dell’Avvocatura generale dello Stato, la quale valorizza il preteso dissenso giurisprudenziale costituito «dal consistente orientamento dei giudici di merito che […] affermano la necessita’ delle operazioni di taratura periodica anche per tale genere di apparecchiature». In presenza di un diritto vivente cosi’consolidato, eccepire l’esistenza di eterogenei ed isolati pronunciamenti dei giudici di merito non risulta dirimente, anche in considerazione del fatto che la stessa Avvocatura, in altri punti nella sua memoria difensiva, mostra di condividere il richiamato orientamento della Corte di legittimita‘ piuttosto che proporre la ricerca di diversa interpretazione conforme a Costituzione.

5.– Ai fini della definizione del presente giudizio, occorre ulteriormente osservare come non vi sia dubbio che ilconsolidato orientamento della Corte di cassazione sia nel senso che il censurato art. 45 esoneri i soggetti utilizzatori dall’obbligo di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura delle apparecchiature impiegate nella rilevazione dellavelocita‘. Ne consegue che l’argomento addotto dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui le norme regolamentari attuative del suddetto art. 45 del d.l.gs. n. 285 del 1992 limiterebbero l’obbligo di verifica periodica alle apparecchiature di rilevazione automatica, non e’ utile ai fini del presente giudizio di costituzionalita’, posto che oggetto dello stesso e’ il diritto vivente consolidatosi sulla predetta norma di rango primario, il quale non fa distinzione tra le rilevazioni automatiche e quelle realizzate attraverso operatori.

Fermo restando il rilievo che nella giurisprudenza della Corte di cassazione, come detto, non v’e’ traccia di tale distinzione, appare del tutto irragionevole la prospettata discriminazione, poiche’ l’assenza di verifiche periodiche difunzionamento e di taratura e’ suscettibile di pregiudicare – secondo la prospettazione del rimettente – l’affidabilita’ metrologica a prescindere dalle modalita’ di impiego delle apparecchiature destinate a rilevare la velocita‘. Non risolutivo appare in proposito quanto e’ previsto nella direttiva del Ministero dell’interno 14 agosto 2009, laddove si afferma che la rilevazione della cattiva funzionalita’ sarebbe garantita dalle apparecchiature «dotate di un sistema di autodiagnosi dei guasti che avvisano l’operatore del loro cattivo funzionamento». È evidente che il mantenimento nel tempo dell’affidabilita’ metrologica delle apparecchiature e’ un profilo che interessa – secondo la richiamata prospettazione del giudice a quo – anche i meccanismi di autodiagnosi che appaiono suscettibili, come le altre parti delle apparecchiature, di obsolescenza e di deterioramento.

6.– Alla luce di dette precisazioni, la questione sollevata dal rimettente direttamente in riferimento al canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e’ fondata.

Cosi’ come interpretato dalla Corte di cassazione, l’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 collide con il «principio di razionalita’, sia nel senso di razionalita’ formale, cioe’ del principio logico di non contraddizione, sia nel senso di razionalita’ pratica, ovvero di ragionevolezza» (sentenza n. 172 del 1996).

6.1.– Quanto al canone di razionalita’ pratica, appare evidente che qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, e’ soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione. Si tratta di una tendenza disfunzionale naturale direttamente proporzionata all’elemento temporale. L’esonero da verificheperiodiche, o successive ad eventi di manutenzione, appare per i suddetti motivi intrinsecamente irragionevole.

I fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l’affidabilita’ delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale.

Un controllo di conformita’ alle prescrizioni tecniche ha senso solo se esteso all’intero arco temporale di utilizzazione degli strumenti di misura, poiche’ la finalita’ dello stesso e’ strettamente diretta a garantire che il funzionamento e la precisione nelle misurazioni siano contestuali al momento in cui la velocita‘ viene rilevata, momento che potrebbe essere distanziato in modo significativo dalla data di omologazione e di taratura.

6.2.– Sotto il profilo della coerenza interna della norma, come interpretata dalla Corte di cassazione, si appalesano altresi’ evidenti aporie. Occorre a tal proposito considerare che nelle richiamate disposizioni l’uso delle apparecchiature di misurazione e’ strettamente collegato al valore probatorio delle loro risultanze nei procedimenti sanzionatori inerenti alle trasgressioni dei limiti di velocita‘.

L’art. 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede infatti che «Per la determinazione dell’osservanza dei limiti divelocita‘ sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, […] nonche’ le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento». Detta soluzione normativa si giustifica per la peculiarita’ della fattispecie concreta che – allo stato attuale della tecnologia – rende impossibile o sproporzionatamente oneroso riprodurre l’accertamento dell’eccesso di velocita‘ in caso di sua contestazione.

È evidente che, al fine di dare effettivita’ ai meccanismi repressivi delle infrazioni ai limiti di velocita‘, la disposizione realizza in modo non implausibile e non irragionevole un bilanciamento tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle situazioni soggettive dei sottoposti alle verifiche. È vero infatti che la tutela di questi ultimi viene in qualche modo compressa per effetto della parziale inversione dell’onere della prova, dal momento che e’ il ricorrente contro l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare – onere di difficile assolvimento a causa della irripetibilita’ dell’accertamento – il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura. Tuttavia, detta limitazione trova una ragionevole spiegazione nel carattere di affidabilita’ che l’omologazione e la taratura dell’autovelox conferiscono alle prestazioni di quest’ultimo.

In definitiva il bilanciamento realizzato dall’art. 142 del codice della strada ha per oggetto, da un lato, interessi pubblici e privati estremamente rilevanti quali la sicurezza della circolazione, la garanzia dell’ordine pubblico, la preservazione dell’integrita’ fisica degli individui, la conservazione dei beni e, dall’altro, valori altrettanto importanti quali la certezza dei rapporti giuridici ed il diritto di difesa del sanzionato. Detto bilanciamento si concreta attraverso una sorta di presunzione, fondata sull’affidabilita’ dell’omologazione e della taratura dell’autovelox, che consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici. Proprio la custodia e la conservazione di tale affidabilita’ costituisce il punto di estrema tensione entro il quale la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa del sanzionato non perdono la loro ineliminabile ragion d’essere.

Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza della funzionalita’ delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta incertezza quando queste ultime non vengono effettuate.

In definitiva, se «il giudizio di ragionevolezza [di questa Corte], lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita’ dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita’ rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita’ che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988) e se la prescrizione dell’art. 142, comma 6, del codice della strada nella sua astratta formulazione risulta immune dai richiamati vizi di proporzionalita’, la prescrizione dell’art. 45 del medesimo codice, come costantemente interpretata dalla Corte di cassazione, si colloca al di fuori del perimetro della ragionevolezza, finendo per comprimere in modo assolutamente ingiustificato la tutela dei soggetti sottoposti ad accertamento.

Il bilanciamento dei valori in gioco realizzato in modo non implausibile nel vigente art. 142, comma 6, del codice della strada trasmoda cosi’ nella irragionevolezza, nel momento in cui il diritto vivente formatosi sull’art. 45, comma 6, del medesimo codice consente alle amministrazioni preposte agli accertamenti di evitare ogni successiva taratura e verifica.

7.– Dunque, l’art. 45, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992 – come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione – deve essere dichiarato incostituzionale in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ siano sottoposte a verificheperiodiche di funzionalita’ e di taratura.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimitacostituzionale dell’art. 45, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita’ e di taratura.

Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI

 

Risarcimento danno patrimoniale onorari avvocati

News 6 Luglio 2015

Risarcimento danno  patrimoniale onorari avvocati

Cassazione III civile del 18 giugno 2015, n. 12594

Svolgimento del processo

m.a. , P.A. e M.A. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Padova, L.A. , M.D. e la Universo Assicurazioni s.p.a. ‘ quali, rispettivamente, proprietaria dell’autovettura Renault 5, conducente della stessa e compagnia assicuratrice ‘ al fine di ottenere il risarcimento dei gravi danni da lesioni subiti dalla minore Antonietta, a seguito dell’incidente stradale avvenuto il (omissis) in (‘), mentre essa A. , in sella alla propria bicicletta, percorreva la via (omissis).

M.A. era stata infatti improvvisamente tamponata dall’auto condotta da M.D. che sopraggiungeva a forte velocita’.

I convenuti si costituirono contestando la domanda e rilevando che la ciclista aveva posto in essere una manovra non presegnalata di spostamento improvviso da una corsia ad un’altra che aveva impedito qualsiasi manovra di emergenza. L’assicurazione dava atto di aver versato, oltre all’acconto di L. 100.000.000, l’ulteriore somma di Euro 60.000,00.

Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 466/2005, ritenuta la concorrente responsabilita’ dei due mezzi ai sensi dell’art. 2054, 2 comma, c.c. e considerati gli acconti versati, condanno’ i convenuti al versamento della sola residua somma di Euro 4.500,00 a titolo di spese processuali e di c.t.u..

Proposero appello M.S. (essendo nel frattempo deceduto il padre m.a. ), M.S. ‘ sorella e amministratrice di sostegno di M.A. ‘ M.A. , P.A. ‘ madre ‘ e M.S. , F. , G. , M. e Ad. ‘ fratelli ‘ chiedendo l’accertamento della responsabilita’ esclusiva o, quantomeno, prevalente di M.D. e una maggiore quantificazione del danno, previo supplemento di c.t.u..

Si costitui’ la sola Italiana Assicurazioni la quale chiese il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

La Corte d’appello ha dichiarato che il sinistro si verifico’ per colpa concorrente di M.A. e M.D. , nella misura del 50% ciascuno; ha condannato L. , M. e Universo Assicurazioni, in solido tra loro, al pagamento in favore di M.A. dell’ulteriore somma di Euro 56.235,00 oltre accessori.

Propone ricorso per cassazione M.S. , nella qualita’ di amministratore di sostegno a tempo indeterminato ex lege 9 gennaio 2004 n. 6, di M.A. .

Gli intimati non svolgono attivita’ difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso parte ricorrente lamenta ‘Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione di legge in relazione agli artt. 1219 ‘ 1224 ‘ 1223 c.c.; e art. 360 n. 5 per omessa motivazione’.

Sostiene M.S. che l’impugnata sentenza difetta di convincenti argomentazioni sulla liquidazione di interessi e svalutazione monetaria.

Il motivo e’ fondato.

Appare infatti evidente il difetto di motivazione in quanto dire che ‘pare’ il Tribunale aver liquidato interessi e svalutazione integra una motivazione perplessa e come tale insufficiente.

Con la suddetta espressione non si risponde infatti adeguatamente alla specifica doglianza della ricorrente e non si da alcuna certezza che gli accessori di lite siano stati effettivamente liquidati.

Con il secondo motivo si denuncia ‘violazione dell’art. 360 sub 3 per violazione di legge: inderogabilita’ dei minimi di tariffa (art. 24 Legge 794/1942 e obbligatorieta’ dei diritti; ed errore in procedendo ex art. 91 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c. per mancato esame di atti della causa’.

Ritiene la ricorrente che la liquidazione delle spese giudiziali e’ inferiore ai minimi previsti dalla tariffa professionale al tempo vigente.

Il motivo e’ fondato.

Per costante giurisprudenza di questa Corte infatti ‘In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non puo’ limitarsi ad una globale determinazione, in misure inferiori a quelle esposte, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimita’, l’accertamento della conformita’ della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione alla inderogabilita’ dei relativi minimi, a norma dell’art. 24 della legge n. 794 del 1942; tuttavia, ove il ricorso per cassazione avverso la liquidazione delle spese processuali operata dal giudice non riporti le singole voci della nota spese ridotta globalmente, esso non consente di verificare la pretesa violazione dei minimi, sia per i diritti che per gli onorari, e, pertanto, non essendo autosufficiente, e’ inammissibile. Tali principi valgono in tutti i casi di scostamento dagli importi richiesti con la nota spese, anche se dovuti a pura e semplice pretermissione di quest’ultima da parte del giudice, che erroneamente abbia ritenuto non prodotta la nota, perche’ cio’ che rileva e’ il rispetto o meno dei limiti tariffari (Cass., 3 novembre 2005, n. 21325).

Nel caso in esame la liquidazione di diritti ed onorari appare inferiore ai minimi tariffari, quantomeno in riferimento agli onorari. A p. 12 del ricorso infatti la ricorrente riporta la notula che, essendo stata depositata tempestivamente in cancelleria, in appello, non avrebbe potuto essere liquidata d’ufficio.

Con il terzo motivo si denuncia ‘violazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3 per violazione di legge (artt. 2054 ‘ 2059 ‘ 1226 e 1223 c.c.) e violazione del principio di integralita’ del risarcimento del danno per aver ritenuto non dovuto il danno alla vita di relazione ed esistenziale’.

Sostiene la ricorrente che si impone, nell’ambito del danno non patrimoniale, la liquidazione del danno esistenziale, in forza del principio dell’integrita’ del risarcimento di cui agli artt. 1223-2059-2054 c.c. ribadito da Cass. S.U. 26972/2008.

Il motivo e’ fondato.

Il principio consolidato seguito dalla giurisprudenza di legittimita’, dopo la pronuncia delle Sezioni unite e sino ad oggi, e’ quello secondo il quale il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude la possibilita’ di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, pero’, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalita’ di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass., 23 settembre 2013, n. 21716).

Nella specie, pertanto, cio’ che rileva e’ l’accertamento del se la sentenza impugnata abbia o meno proceduto alla personalizzazione, nel ristoro del danno, delle diverse componenti non patrimoniali, delle quali pur deve tenersi conto a tal fine.

Sul punto la Corte d’appello non risulta avere proceduto alla personalizzazione del danno sotto tutti i profili del danno non patrimoniale (S.U. n. 26972/2008).

In conclusione, i motivi devono essere accolti, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

La Corte di rinvio procedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione

Danno morale e danno biologico

News 5 Luglio 2015

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE

SEZIONE III – SENTENZA N. 811/2015

Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA

Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

Data pubblicazione: 20/01/2015

SENTENZA

sul ricorso 26968-2008 proposto da:

S. M. C. .., C. D.. .., C.. C. .., elettivamente domiciliati in ROMA, ……, presso lo studio dell’avvocato A. C., rappresentati e difesi  dall’avvocato A. M. giusta procura speciale a margine del ricorso;

Ricorrente

contro

GENERALI ASSICURAZIONI SPA nella qualità di Impresa designata alla gestione dei sinistri a carico del Fondo di garanzia per le Vittime della strada in persona dei legali rappresentanti Dott. DARIO DALLA TORRE e Sig. GIUSEPPE RACCANELLO, elettivamente domiciliata in ROMA, ….. presso lo studio dell’avvocato A. B., rappresentata e difesa dagli avvocati V.P., G. P. giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2089/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/05/2008, R.G.N.

5094/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO

TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato P. T. per delega ;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso

per l’inammissibilità;

I FATTI

Domenico C., la moglie Maria Concetta C. e la figlia Carmela convennero dinanzi al Tribunale di Noia le Assicurazioni Generali in qualità di impresa designata per il FGVS, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della morte di Giuseppe C., figlio e fratello degli istanti, investito da una autocisterna rimasta non identificata mentre era alla guida del proprio ciclomotore.

Il giudice di primo grado accolse la domanda, ritenendo l’ignoto camionista responsabile dell’incidente nella misura del 70% e condannando conseguentemente la compagnia assicuratrice al pagamento della complessiva somma di circa 354 mila euro in favore degli attori.

La Corte di appello di Napoli, pronunciando sulle impugnazioni, principale e incidentale, hinc et inde proposte, le accolse entrambe in parte qua, riducendo, da un canto, l’importo risarcitorio ad E. 171.379, liquidando, dall’altro, in favore dei familiari della vittima le spese di lite del primo grado in misura di circa 5500 euro.

La sentenza del giudice territoriale è stata impugnata dai C. con ricorso sorretto da motivi 3 di censura illustrati da memoria.

Resiste la Assicurazioni Generali s.p.a. con controricorso illustrato a sua volta da memoria.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato quanto al suo terzo motivo.

Con il primo motivo, si denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria con erronea valutazione delle risultanze istruttorie.

La censura è inammissibile, volta che essa non risulta in alcun modo corredata dalla sintesi espositiva dei fatti di causa, come previsto dalli art 366 bis c.p.c. applicabile nella specie ratione temporis, essendo stata la sentenza d’appello depositata nel vigore del D.lgs. 40/2006.

L’esposizione del denunciato vizio di motivazione non tiene conto, difatti, di quanto più volte affermato dal giudice di legittimità sul tema della sintesi necessaria per il relativo esame, tema affrontato dalle stesse sezioni unite di questa Corte, che hanno all’uopo specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Si è così affermato che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto (cd. “quesito di fatto”) che ne circoscriva puntualmente i limiti,  in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Tale momento di sintesi, formulato in veste di quesito di fatto, nella specie risulta del tutto omesso, in aperta violazione della norma in parola.

Con il secondo motivo, si denuncia mancato riconoscimento del danno biologico iure proprio alla ricorrente S..

Contraddittoria motivazione. Violazione di legge.

La censura è corredata dal seguente quesito di diritto: Accertata la sussistenza di un danno biologico e rilevata l’impossibilità, per qualsiasi motivo (premorienza, incapacità,pazzia, depressione) di procedere ad accertamento medico-legale sulla persona, deve il giudice di merito procedere alla valutazione equitativa del danno?

Il motivo – prima ancora che del tutto infondato nel merito, attesa la chiara definizione legislativa di danno biologico in guisa di lesione medicalmente accertabile è inammissibile in rito.

Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di affermare come il quesito di diritto vada formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire, in concreto, l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) in una richiesta del tutto generica (quale risulta quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno viola – o disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il quesito deve, di converso, investire ex se la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento, sia pur sintetico, ai fatti essenziali di causa, proponendone una alternativa di segno opposto destinata ad una soluzione che, partendo dalla fattispecie concreta, e poi trascendendo la medesima, come sottoposta all’esame del giudice di legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cessazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, e che già presupponga la risposta senza peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in esame.

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (ex multis, Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativa tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza di una astratta violazione di legge.

Con il terzo motivo, si denuncia determinazione della misura del danno morale subita dalla vittima in rapporto al danno biologico. Insufficiente e contraddittoria motivazione.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c..

La censura è corredata dalla seguente sintesi espositiva (contenuta al folio 9 del ricorso), da ritenersi tale sul piano contenutistico (nonostante l’assenza di una specifica evidenziazione grafica):

Ricorrono numerosi casi in cui, pur non sussistendo un significativo danno biologico, sussiste invece un rilevante danno morale, ragione per la quale la valutazione del danno morale va operata caso per caso e senza che il danno biologico possa essere un riferimento assoluto. Il caso che occupa rientra tra quelli nei quali il danno morale è altamente significativo anche in presenza di un danno biologico lieve o da liquidarsi in misura lieve.

Il motivo è fondato.

Con esso si chiede al collegio la riaffermazione e la enunciazione di un principio di diritto del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che, con le sentenze a sezioni unite del novembre 2008, ha evidenziato, con specifico riferimento a casi come quello di specie, come il danno derivante dalla da consapevolezza dell’incombere della propria fine sia del tutto svincolato da quello più propriamente biologico, e postuli una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima.

A tali principi non si è attenuta la Corte territoriale, che ha

quantificato il risarcimento di tale voce di danno liquidando

agli aventi diritto una cifra correttamente definita da parte

ricorrente “del tutto irrisoria”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Napoli in altra composizione.

Così deciso in Roma, li 26.5.2014

Imputato: convenzioni in materia di pubblica utilita

News 5 Luglio 2015

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DECRETO 8 giugno 2015, n. 88
Regolamento  recante  disciplina  delle  convenzioni  in  materia  di pubblica utilita’ ai fini della messa alla  prova  dell’imputato,  ai sensi dell’articolo 8 della legge 28 aprile 2014, n. 67. (15G00099)  (GU n.151 del 2-7-2015)   Vigente al: 3-7-2015

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

Visto l’articolo 8 della legge 28 aprile 2014, n. 67,  che  prevede che  il  Ministro  della  giustizia   adotti   un   regolamento   per disciplinare le convenzioni che il Ministero della  giustizia  o,  su delega di quest’ultimo, il presidente del tribunale,  puo’  stipulare con gli enti o le organizzazioni di cui al terzo comma  dell’articolo 168-bis del codice penale;
Visto l’articolo 168-bis, terzo comma, codice penale che  subordina la concessione della messa alla prova alla prestazione di  lavoro  di pubblica utilita’;
Visto l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Udito il parere del Consiglio  di  Stato,  espresso  dalla  sezione consultiva per gli atti normativi  nell’adunanza  di  sezione  del  9 ottobre 2014;
Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri con nota del 31 ottobre 2014;

Adotta il seguente regolamento:

Art. 1

Lavoro di pubblica utilita’

1. Il lavoro di pubblica utilita’ da prevedere per  la  messa  alla prova degli imputati maggiori di eta’, ai sensi dell’articolo 168-bis c.p., consiste in una prestazione  non  retribuita  in  favore  della collettività di durata non  inferiore  a  dieci  giorni,  anche  non continuativi,  affidata  tenendo   conto   anche   delle   specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, da  svolgere  presso lo Stato, le  regioni,  le  province,  i  comuni,  le  aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche  internazionali,  che operano  in  Italia,  di   assistenza   sociale,   sanitaria   e   di volontariato.
2. La prestazione e’ svolta con modalita’ che non pregiudichino  le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute  dell’imputato e la sua durata giornaliera non puo’ superare le otto ore.
Art. 2

Convenzioni

1. L’attivita’ non retribuita  in  favore  della  collettivita’  e’ svolta secondo quanto stabilito nelle convenzioni  stipulate  con  il Ministero della giustizia  o,  su  delega  di  quest’ultimo,  con  il presidente del tribunale, nell’ambito  e  a  favore  delle  strutture esistenti  in  seno  alle   amministrazioni,   agli   enti   o   alle organizzazioni indicati nell’articolo 1, comma  1.  Tali  convenzioni sono sottoscritte anche da amministrazioni,  enti  ed  organizzazioni che hanno competenza nazionale,  regionale  o  interprovinciale,  con effetto per le rispettive articolazioni periferiche.
2. La prestazione di lavoro di pubblica utilita’ durante  la  messa alla prova puo’ essere svolta anche presso un ente convenzionato  per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilita’ ai sensi dell’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.
3. Al fine di pervenire alla stipula delle convenzioni l’ufficio di esecuzione penale esterna competente per territorio puo’  favorire  i contatti tra le amministrazioni, gli enti e le organizzazioni di  cui all’articolo 1, comma 1, e i tribunali.
4. Nelle convenzioni sono specificate le mansioni  cui  i  soggetti che prestano lavoro  di  pubblica  utilita’  possono  essere  adibiti presso gli organismi di cui all’articolo 1, comma 1, in relazione  ad una o piu’ delle seguenti tipologie di attivita’:
a. prestazioni di lavoro per finalita’ sociali e  socio-sanitarie nei  confronti  di  persone  alcoldipendenti   e   tossicodipendenti, diversamente abili, malati, anziani, minori, stranieri;
b. prestazioni di lavoro  per  finalita’  di  protezione  civile, anche  mediante  soccorso  alla  popolazione  in  caso  di  calamita’ naturali;
c. prestazioni di lavoro per  la  fruibilita’  e  la  tutela  del patrimonio ambientale, ivi compresa la  collaborazione  ad  opere  di prevenzione  incendi,  di  salvaguardia  del  patrimonio  boschivo  e forestale o di  particolari  produzioni  agricole,  di  recupero  del demanio marittimo, di  protezione  della  flora  e  della  fauna  con particolare  riguardo  alle  aree  protette,  incluse  le   attivita’ connesse al randagismo degli animali;
d. prestazioni di lavoro per  la  fruibilita’  e  la  tutela  del patrimonio  culturale  e  archivistico,  inclusa   la   custodia   di biblioteche, musei, gallerie o pinacoteche;
e. prestazioni  di  lavoro  nella  manutenzione  e  fruizione  di immobili e servizi pubblici, inclusi ospedali e case di  cura,  o  di beni del demanio e del patrimonio pubblico, compresi giardini,  ville e parchi, con esclusione di immobili utilizzati dalle Forze armate  o dalle Forze di polizia;
f. prestazioni di  lavoro  inerenti  a  specifiche  competenze  o professionalita’ del soggetto.
Art. 3

Svolgimento delle prestazioni di lavoro di pubblica utilita’

1. Nelle convenzioni di cui all’articolo 2 le amministrazioni,  gli  enti e le  organizzazioni  indicati  nell’articolo  1,  comma  1,  si impegnano  a  mettere  a  disposizione  del  soggetto,   durante   lo svolgimento del lavoro di pubblica utilita’, le strutture  necessarie all’espletamento delle attivita’ stabilite e a curare che l’attivita’ prestata sia conforme a quanto previsto dallo specifico programma cui il soggetto e’ sottoposto. Tali enti si impegnano ad indicare il nome di un referente che coordina la  prestazione  lavorativa  di  ciascun soggetto impegnato nel lavoro di pubblica utilita’ ed  impartisce  le istruzioni in ordine alle modalita’ di esecuzione dei lavori.
2. Gli enti garantiscono  la  conformita’  delle  sedi  in  cui  il soggetto opera alle previsioni in materia di sicurezza  e  di  igiene degli ambienti di lavoro; assicurano,  altresi’,  il  rispetto  delle norme e la predisposizione delle misure necessarie a tutelare,  anche attraverso   appositi   dispositivi   di   protezione    individuale, l’integrita’ fisica e  morale  dei  soggetti  in  messa  alla  prova, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
3. In nessun caso l’attivita’ puo’ svolgersi in  modo  da  impedire l’esercizio dei fondamentali diritti umani o da  ledere  la  dignita’ della persona.
4. Gli oneri per la copertura assicurativa contro gli  infortuni  e le malattie  professionali,  nonche’  riguardo  alla  responsabilita’ civile verso i terzi, dei soggetti  ammessi  al  lavoro  di  pubblica utilita’ sono a carico delle amministrazioni, delle organizzazioni  o degli enti presso cui viene  svolta  l’attivita’  gratuita  a  favore della collettivita’. Nessun onere grava a  carico  degli  organi  del Ministero della Giustizia.
5. Lo svolgimento del lavoro di pubblica  utilita’  ha  inizio  nel primo giorno in cui il soggetto si presenta  a  svolgere  la  propria attivita’ secondo le modalita’ concordate e  inserite  nel  programma per la messa alla prova  e  si  conclude  nel  termine  indicato  dal giudice ai sensi dell’articolo 464-quinquies del codice di  procedura penale. La presenza e’ documentata su apposito  registro  o  mediante mezzi di rilevazione elettronica.
6. Nel caso di impedimento a prestare la propria opera, per tutto o parte  dell’orario  giornaliero  stabilito,  il   soggetto   ne   da’ tempestivo avviso per le vie brevi  all’ente  ospitante,  consegnando successivamente   la    relativa    documentazione    giustificativa.
L’impedimento  derivante  da  malattia  o  infortunio   deve   essere documentato attraverso certificato medico, redatto dal medico curante o da una struttura sanitaria pubblica  o  privata  convenzionata.  In ogni caso la prestazione  lavorativa  non  resa  per  tutto  o  parte dell’orario giornaliero previsto dovra’ essere effettuata in un tempo diverso, d’intesa fra le parti, nel termine fissato dal  giudice  per la messa alla prova, fatti  salvi  in  ogni  caso  i  limiti  di  cui all’articolo 1, comma 2.
7. L’impedimento allo svolgimento  della  prestazione  di  pubblica utilita’  dipendente  dalla   temporanea   impossibilita’   dell’ente ospitante a riceverla  in  un  determinato  giorno  od  orario  sara’ comunicato,  anche  per  le  vie  brevi,  dall’ente  all’ufficio   di esecuzione penale esterna  competente.  Il  recupero  dell’orario  di lavoro viene effettuato ai sensi del comma 8.
8. Le frazioni di ora non sono  utili  al  computo  dell’orario  di lavoro ai  fini  dello  svolgimento  della  prestazione  di  pubblica utilita’ per la messa alla prova.
Art. 4

Accertamenti sulla prestazione del lavoro di pubblica utilita’

1.  Nelle  convenzioni  sono  regolati  gli  aspetti  organizzativi inerenti gli accertamenti sulla  regolarita’  della  prestazione  non retribuita  effettuati  dall’ufficio  di  esecuzione  penale  esterna competente per l’esecuzione  del  provvedimento  di  sospensione  del procedimento con messa alla prova tramite un funzionario incaricato.
2.  L’ente  ospitante,  attraverso  il  referente  indicato   nella convenzione, rende disponibili al  funzionario  incaricato  tutte  le informazioni   richieste,   compresa   la   visione   e   l’eventuale acquisizione di copia del registro delle presenze.
3. Nei casi in cui l’amministrazione, l’organizzazione o l’ente non sia piu’ convenzionato o abbia cessato la propria  attivita’  durante l’esecuzione di un provvedimento di messa alla  prova,  l’ufficio  di esecuzione penale esterna, appena ne riceve notizia, ne da’ immediata comunicazione al giudice che ha disposto la sospensione del  processo con messa alla prova, proponendo, se possibile, un diverso  ente  per la prosecuzione della prestazione di lavoro di pubblica utilita’.  Il giudice decide ai sensi dell’articolo  464-quinquies,  comma  3,  del codice di procedura penale.
4. Nelle relazioni periodiche  e  conclusive  sull’andamento  della messa alla prova di cui  all’articolo  141-ter,  commi  4  e  5,  del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, l’ufficio  di  esecuzione penale esterna riferisce anche della  regolarita’  della  prestazione del lavoro di pubblica utilita’. In caso di rifiuto del soggetto allo svolgimento della prestazione,  ne  da’  immediata  comunicazione  al giudice, per la decisione di cui all’articolo 168-quater  del  codice penale.
Art. 5

Elenco delle convenzioni

1. Le convenzioni sottoscritte o cessate successivamente alla  data di emanazione del  presente  regolamento  sono  pubblicate  sul  sito internet del Ministero della giustizia, raggruppate per distretto  di corte d’appello.
Art. 6

Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra  in  vigore  il  giorno  successivo  a quello  della  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale   della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo  osservare.
Roma, 8 giugno 2015

Il Ministro: Orlando
Visto, il Guardasigilli: Orlando

Registrato alla Corte dei conti il 23 giugno 2015
Ufficio controllo atti P.C.M. Ministeri giustizia  e  affari  esteri,
reg.ne prev. n. 1672