Chi Siamo
Parisi Group Ltd, è una società internazionale con sede a Roma, ma con uffici dislocati in diverse località d’Europa, ottenendo così una vastissima copertura territoriale.
la Società è Operativa dal 1991 nelle attività di indagine, e nel corso degli anni si è specializzata non solo nella gestione e la liquidazione dei sinistri delle maggiori compagnie di assicurazione nazionali ed estere, ma anche nella fornitura di servizi di consulenza legale ad enti quali banche e società finanziarie.
Parisi Group Ltd fornisce inoltre servizi tecnico peritali per l’accertamento la valutazione e la stima di ogni tipologia di danno e per ogni tipologia di ramo assicurativo.
La struttura infatti è presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e non, costituita da un network di professionisti quali Avvocati, periti, medici legali, accertatori ed esperti nel settore finanziario dotati di know-how specifico.
Parisi Group Ltd, supporta la compagnia nella gestione dei sinistri, sollevandola dalle criticità temporanee in tempi brevissimi, con costi certi e con il controllo on-line ed in real-time dello svolgimento degli incarichi affidati.
Il rapporto tra Parisi Group Ltd e le imprese straniere non è un semplice rapporto tra investigatore e mandataria, ma è un modo per rendere la nostra agenzia un sostituto per la società straniera in Italia.
composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo’ ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita‘ costituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento vertente tra T. M. e la Prefettura di Cuneo con ordinanza del 7 agosto 2014, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 aprile 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 7 agosto 2014, iscritta al r.o. n. 206 del 2014, la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questione di legittimita‘ costituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
La Corte rimettente riferisce che la conduttrice ed il proprietario di un’autovettura adivano il Giudice di pace di Mondovi’, opponendosi al provvedimento del Prefetto di Cuneo con il quale era stato respinto il loro ricorso avverso il verbale della Polizia stradale di Cuneo per violazione dell’art. 142, comma 8, del d.lgs. n. 285 del 1992.
I ricorrenti impugnavano il citato provvedimento dinnanzi al giudice di prime cure. Si costituiva in giudizio la Prefettura, contestando l’avversa opposizione.
Il Giudice di pace di Mondovi’ rigettava con sentenza il ricorso, confermando il verbale e l’ordinanza del Prefetto di Cuneo.
Successivamente i citati ricorrenti proponevano appello al Tribunale ordinario di Torino e la Prefettura resisteva, chiedendo il rigetto per infondatezza.
Il Tribunale di Torino confermava l’impugnata sentenza.
In entrambi i gradi di giudizio e’ rimasto controverso il corretto funzionamento dell’autovelox, in relazione al quale non e’ stato concesso alcun accertamento.
Avverso detta decisione di appello i ricorrenti proponevano ricorso in Cassazione. Resisteva con controricorso la Prefettura di Cuneo.
In punto di rilevanza, la Corte di cassazione riferisce che, nell’ambito degli otto quesiti formulati ai sensi dell’art. 366-bis del codice di procedura civile, la soluzione del terzo e quarto motivo di ricorso imporrebbe di affrontare la problematica della necessita’ della verifica periodica delle apparecchiature predisposte per l’accertamento e misurazione della velocita‘.
A giudizio del giudice rimettente, quindi, occorre vagliare la legittimita‘ costituzionale dell’esenzione per talistrumenti da una procedura di verifica periodica del loro funzionamento.
In particolare con il terzo motivo di ricorso si censura la «violazione o, comunque, falsa applicazione di norme di diritto, ovvero della legge 11.08.1991 n. 273, dell’art. 4 del decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento per i Trasporti Terrestri, Direttore Generale Motorizzazione n. 1123 del 16.05.2005 ed ancora delle norme internazionali UNI 30012, UNI EN 10012 e delle raccomandazioni OIML D19 e D20, [nelle quali e’ prevista] la taratura periodica per leapparecchiature di rilevazione della velocita‘ – art. 360 n. 3 c.p.c.». Con il quarto motivo di ricorso, collegato al precedente, le parti ricorrenti lamentano una carenza motivazionale della impugnata sentenza in relazione ad un «fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero il regolare funzionamento dell’autovelox». Inoltre anche il primo ed il secondo motivo di ricorso sarebbero in via mediata coinvolti dalla soluzione della questione di legittimita‘ costituzionale sollevata, poiche’ attengono alla motivazione ed all’eventuale violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 del codice civile in relazione all’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e all’art. 205 del d.lgs. n. 285 del 1992, quanto alla «avvenuta o meno dimostrazione» della regolarita’ del detto rilevatore di velocita‘.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la Corte di cassazione prende le mosse dal proprioconsolidato orientamento secondo il quale le apparecchiature elettroniche per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocita‘ di cui all’art. 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992, non devono essere sottoposte alla procedura diverifica periodica. Secondo detto orientamento possono evitarsi i «controlli previsti dalla legge n. 273 del 1991 istitutiva del sistema nazionale relativo alla verifica della taratura poiche’ esso attiene alla materia c.d. metrologica, che e’ diversa rispetto a quella della misurazione elettronica della velocita‘» (si cita la sentenza della Corte di cassazione, seconda sezione civile, 19 novembre 2007, n. 23978). La Corte di cassazione si sarebbe espressa in piu’ pronunce nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimita‘ costituzionale degli artt. 45, comma 6, e 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992, 4, comma 3, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 168 e 345 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost. (si citano le sentenze della Corte di cassazione, seconda sezione civile, 15 dicembre 2008, n. 29333 e n. 29334).
Il giudice rimettente ricorda come la Corte costituzionale con la sentenza n. 277 del 2007 abbia gia’ esaminato e deciso la questione di legittimita‘ costituzionale dell’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., ritenendo non fondata la questione per erronea individuazione da parte del giudice rimettente del termine di comparazione nel decreto del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato 28 marzo 2000, n. 182 (Regolamento recante modifica ed integrazione della disciplina della verificazione periodica degli strumenti metrici in materia di commercio e di camere di commercio), anziche’ nell’art. 2, comma 1, della legge 11 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale di taratura). In quella sede tuttavia la Corte costituzionale avrebbe svolto affermazioni, che indurrebbero ad una riconsiderazione della questione. In particolare, la Corte costituzionale avrebbe rilevato che ilrimettente non avrebbe sperimentato l’applicazione della normativa generale del 1991 alla luce del sistema internazionale delle unita’ di misura SI.
Ritenuta pertanto la perdurante rilevanza della questione, e reputando ormai consolidato il diritto vivente a seguito degli uniformi e costanti indirizzi ermeneutici della Corte di cassazione, della cui legittimita‘ costituzionale egli dubita, ilrimettente assume che la norma impugnata consentirebbe, in modo del tutto irragionevole, che le apparecchiaturedestinate all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ possano essere utilizzate nello svolgimento di accertamenti irripetibili sulla base di una presunzione di corretto funzionamento «anche a distanza di lustri» basata sulla «sola conformita’ al modello omologato».
A tal fine egli prospetta il dubbio di legittimita‘ costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost. sotto i seguenti profili: a) «per l’assoluta irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che [consentirebbe l’esclusione] dall’applicazione della […]normativa generale, anche internazionale, in tema di misura ricomprendente pure la velocita‘ come unita’ derivata»; b) «con riguardo, come tertium comparationis, alla normativa di cui alla legge 1 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale di taratura), che prevede anche la velocita‘ quale unita’ di misura derivata»; c) «con riferimento […] allanormativa comunitaria (Norme UNI EN 30012 – parte 1 come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] il dovuto e relativo adeguamento del nostro ordinamento»; d) per la palese irragionevolezza di un sistema che consente di dare certezza giuridica e inoppugnabilita’ ad accertamenti irripetibili – fonti di potenziali gravi conseguenze per chi vi e’ sottoposto – svolti da complesse apparecchiature senza che la loro efficienza e buon funzionamento siano soggette averifica «anche a distanza di lustri».
2.– Con atto di intervento depositato il 9 dicembre 2014 si e’ costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale chiede che la questione di legittimita‘ sollevata sia dichiarata inammissibile ovvero infondata.
L’Avvocatura generale dello Stato osserva che in base alla normativa europea di riferimento, concernente il sistema UNI EN 30012 di cui alla direttiva 28 marzo 1983, n. 83/189/CEE (Direttiva del Consiglio che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche), recepita nel nostro ordinamento con la legge 21 giugno 1986, n. 317 (Procedura d’informazione nel settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della societa’ dell’informazione in attuazione della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 luglio 1998), tutti glistrumenti di misurazione dovrebbero essere sottoposti a taratura. Inoltre la legge n. 273 del 1991 individua gli istituti metrologici primari (IMP), i quali insieme ai centri di taratura costituirebbero il relativo sistema nazionale. Detti centri provvederebbero ad eseguire tutti i controlli richiesti ai fini dell’emissione del “certificato di taratura‘, non essendo consentito lo svolgimento di questa funzione ne’ alla ditta produttrice, ne’ a quella distributrice dell’autovelox. La citata sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 2007 avrebbe rafforzato l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di merito nel senso della necessita’ della taratura per le apparecchiature di rilevazione della velocita‘ ai fini della validita’ dell’accertamento, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di cassazione anche successivamente. Da quanto rilevato, a giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato, discenderebbe l’inammissibilita’ della questione di legittimita‘costituzionale sollevata. Difatti, secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale, allorche’ piu’ opzioni interpretative siano in astratto adottabili, il giudice dovrebbe scegliere l’interpretazione conforme a Costituzione (si citano le sentenze n. 192 del 2007, n. 356 del 1996 e le ordinanze n. 451 e n. 121 del 1994). Inoltre la questione proposta non dovrebbe risolversi nella prospettazione di meri dubbi ermeneutici e alla Corte costituzionale non spetterebbe il ruolo di giudice delle interpretazioni della Corte di cassazione (si citano le ordinanze n. 98 del 2006 e n. 3 del 2002).
L’inammissibilita’ potrebbe desumersi altresi’ dalla considerazione che, sulla base della stessa giurisprudenzacostituzionale, l’autonomia ermeneutica del giudice delle leggi non avrebbe natura illimitata, ma dovrebbe necessariamente arrestarsi di fronte ad un orientamento interpretativo adeguatamente consolidato delle Corti superiori e tale da assumere valenza di significato obiettivo della normativa, cosi’ da concretizzare la nozione di “diritto vivente’ (si cita la sentenza n. 350 del 1997).
Nel caso in esame l’orientamento secondo il quale le apparecchiature elettroniche di rilevamento della velocita‘ non necessiterebbero ai sensi dell’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 di sottoposizione alla verifica periodica sarebbe stato ribadito in varie occasioni dalle sezioni semplici della Corte di cassazione (si citano l’ordinanza 17 settembre 2012, n. 15597 e le sentenze n. 29334 e 29333 del 2008, n. 23978 del 2007), ma contrasterebbe con il consistente orientamento di segno opposto dei giudici di merito.
La questione sarebbe inoltre manifestamente infondata, in quanto la materia dell’impiego e della manutenzione dei misuratori di velocita‘ avrebbe una propria disciplina – specifica rispetto alle norme che regolamentano gli altri apparecchi di misura – contenuta nel decreto del Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) del 29 ottobre 1997 (Approvazione di prototipi di apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocita‘ e loro modalita’ di impiego). L’art. 4 del citato decreto ministeriale stabilendo che «Gli organi di Polizia stradale interessati all’uso delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocita‘ sono tenuti a […] rispettare le modalita’ di installazione e di impiego previste nei manuali d’uso», escluderebbe la necessita’ di un controllo periodico finalizzato allataratura dello strumento di misura se non espressamente richiesto dal costruttore nel manuale d’uso depositato presso il Ministero dei trasporti al momento della richiesta di approvazione ovvero nel decreto di approvazione. Inoltre la verificadella corretta funzionalita’ e la vigilanza su eventuali anomalie e malfunzionamenti delle apparecchiature approvate dal Ministero dei trasporti impiegate esclusivamente in presenza e sotto il costante controllo di un operatore di polizia stradale sarebbe effettuata dagli stessi operatori durante tutto il servizio secondo le indicazioni fornite dal costruttore. Solo i misuratori di velocita‘ utilizzati in modalita’ completamente automatica dovrebbero essere sottoposti ad una verificametrologica presso la casa costruttrice, abilitata dalla certificazione di qualita’ secondo le norme ISO 9001 e seguenti, ovvero presso uno dei soggetti accreditati dal Sistema nazionale di taratura ai sensi della legge n. 273 del 1991, con cadenza almeno annuale ovvero conformemente alle indicazioni contenute nel certificato di approvazione e dalle istruzioni di funzionamento fornite dal costruttore.
Considerato in diritto
1.— Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di cassazione, seconda sezione civile, ha sollevato questione dilegittimita‘ costituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che le apparecchiature destinate all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita’ e di taratura, in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
1.1.– Questione analoga a quella in esame era stata sollevata dal Giudice di pace di Dolo (ordinanza iscritta al n. 210 del registro delle ordinanze del 2007) nei confronti della stessa disposizione in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. in ragione della diversa disciplina dettata dal decreto ministeriale 28 marzo 2000, n. 182 (Regolamento recante modifica ed integrazione della disciplina della verificazione periodica degli strumenti metrici in materia di commercio e di camere di commercio), in tema di verifica degli strumenti di misura utilizzati per la determinazione della quantita’ o del prezzo nelle transazioni commerciali.
Nella citata occasione questa Corte ha rilevato l’erronea individuazione di tale tertium comparationis, non attinente alla misurazione della velocita‘ ai fini dell’accertamento delle violazioni del codice della strada, dichiarando non fondata la questione come proposta dal rimettente (sentenza n. 277 del 2007).
Nel censurare la ricostruzione del quadro normativo e nel ritenere errata l’individuazione della norma rispetto alla quale veniva lamentata un’irragionevole disuguaglianza – poiche’ il richiamato decreto ministeriale n. 182 del 2000 costituisce disciplina secondaria afferente agli strumenti di misura utilizzati nei rapporti commerciali – questa Corte ha affermato in quella sede che il giudice a quo non aveva «sperimentato l’applicazione della normativa generale del 1991 alla luce del sistema internazionale delle unita’ di misura SI, che comprende la velocita‘ come unita’ derivata».
Con l’ordinanza in epigrafe il giudice a quo sostiene che la Corte costituzionale, non ritenendo fondata la questione solo per erronea individuazione da parte del giudice rimettente del termine di comparazione, avrebbe svolto affermazioni suscettibili di migliore considerazione da parte della Corte di cassazione. Quest’ultima avrebbe invece confermato il precedente orientamento interpretativo circa l’impugnato art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992.
Ritenuta pertanto la perdurante rilevanza della questione e reputando ormai consolidato il diritto vivente a seguito degli uniformi e costanti indirizzi ermeneutici della Corte di cassazione, della cui legittimita‘ costituzionale il rimettente dubita, questi assume che la norma impugnata consentirebbe, in modo del tutto irragionevole, che le apparecchiature destinate all’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ possano essere utilizzate nello svolgimento di accertamenti irripetibili sulla base di una presunzione di corretto funzionamento, fondata sulla «sola conformita’ al modello omologato» «anche a distanza di lustri».
A tal fine egli prospetta il dubbio di legittimita‘ costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost. sotto i seguenti profili: a) «per l’assoluta irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che [consentirebbe l’esclusione] dall’applicazione della […]normativa generale, anche internazionale, in tema di misura ricomprendente pure la velocita‘ come unita’ derivata»; b) «con riguardo, come tertium comparationis, alla normativa di cui alla legge 1 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale di taratura), che prevede anche la velocita‘ quale unita’ di misura derivata»; c) «con riferimento […] allanormativa comunitaria (Norme UNI EN 30012 – parte 1 come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] il dovuto e relativo adeguamento del nostro ordinamento»; d) per la palese irragionevolezza di un sistema che consente di dare certezza giuridica e inoppugnabilita’ ad accertamenti irripetibili – fonti di potenziali gravi conseguenze per chi vi e’ sottoposto – svolti da complesse apparecchiature senza che la loro efficienza e buon funzionamento siano soggette averifica «anche a distanza di lustri».
1.2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Secondo l’Avvocatura le censure del giudice rimettente sarebbero inammissibili in quanto costituenti meri dubbi ermeneutici o quesiti di ordine interpretativo, la cui risoluzione spetterebbe a lui stesso e non a questa Corte. Egli non avrebbe, in sostanza, sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, idonea a sottrarla al dubbio di costituzionalita’.
Altro motivo d’inammissibilita’ deriverebbe dai limiti dell’autonomia interpretativa di questa Corte, che dovrebbe comunque arrestarsi di fronte all’orientamento ermeneutico della Corte di cassazione, ormai consolidato e, pertanto, assurto a rango di diritto vivente.
In ogni caso la questione posta in riferimento all’art. 3 Cost. sarebbe manifestamente infondata, in quanto l’art. 4 del decreto del Ministero dei lavori pubblici del 29 ottobre 1997 (Approvazione di prototipi di apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocita‘ e loro modalita’ di impiego) escluderebbe la necessita’ di controlli periodici di taratura e funzionamento degli strumenti di misura impiegati sotto il controllo costante degli operatori di polizia stradale, essendo riservata la procedura di verifica solo alle apparecchiature utilizzate con modalita’ completamente automatiche.
2.– In via preliminare va precisato che dalla parte motivazionale della ordinanza di rimessione si deduce come le censure formalmente rivolte all’intero art. 45 del codice della strada debbano intendersi riferite solo al comma 6 (in senso conforme, ex multis, sentenza n. 121 del 2010), il quale – nel regolare l’uniformita’ della segnaletica, dei mezzi di controllo e delle omologazioni – si riferisce, tra l’altro, alle apparecchiature in questione, prescrivendo che «Nel regolamento sono precisati i segnali, i dispositivi, le apparecchiature e gli altri mezzi tecnici di controllo e regolazione del traffico, nonche’ quelli atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, ed i materiali che, per la loro fabbricazione e diffusione, sono soggetti all’approvazione od omologazione da parte del Ministero dei lavori pubblici, previo accertamento delle caratteristiche geometriche, fotometriche, funzionali, di idoneita’ e di quanto altro necessario. Nello stesso regolamento sono precisate altresi’ le modalita’ di omologazione e di approvazione». È questa la disposizione dalla quale deriva il costante orientamento ermeneutico della Corte di cassazione, della cui legittimita‘ dubita il giudicerimettente.
3.– I profili di censura precedentemente indicati sub a), b) e c) sono inammissibili.
Quanto alla pretesa «irragionevolezza e conseguente disuguaglianza, che [consentirebbe l’esclusione] dall’applicazione della […] normativa generale, anche internazionale, in tema di misura ricomprendente pure la velocita‘ come unita’ derivata», e’ evidente la genericita’ della motivazione della ordinanza di rimessione in ordine alla violazione dell’art. 3 Cost. Invero il rimettente si e’ limitato ad enunciare la violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza della disposizione censurata con un riferimento generico alla disciplina nazionale ed internazionale senza un’adeguata individuazione di dette normative. Cio’ impedisce di comprendere quali siano i profili di disparita’ dedotti.
Quanto al richiamo, come tertium comparationis, della legge 11 agosto 1991, n. 273 (Istituzione del sistema nazionale ditaratura), lo stesso rimettente non considera che la normativa in questione non contiene alcun precetto del tipo di quello reclamato in antitesi all’orientamento della Corte di cassazione. In modo significativo, egli omette di individuare la norma specifica che prevederebbe l’obbligo di revisione periodica della taratura e del funzionamento degli strumenti di misura, individuazione peraltro impossibile poiche’ nessuna disposizione di tale legge – afferente all’organizzazione istituzionale della taratura in se’ e non alle modalita’ di controllo delle diverse apparecchiature interessate alla taratura – contiene un precetto di tal genere.
Per quel che riguarda, infine, l’individuazione come parametro della «normativa comunitaria (Norme UNI EN 30012 – parte 1 come integrate da UNI EN 10012), che [prevederebbe] il dovuto e relativo adeguamento del nostro ordinamento», questa Corte condivide l’orientamento della Corte di cassazione, secondo cui «non e’ vincolante la normativa UNI EN 30012 (Sistema di Conferma Metrologica di Apparecchi per Misurazioni) che, in assenza di leggi o regolamenti di recepimento, rappresenta unicamente un insieme di regole di buona tecnica, impropriamente definite “norme’, alle quali, in assenza di obblighi giuridici, i costruttori decidono autonomamente di conformarsi» (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 15 dicembre 2008, n. 29333).
4.– La questione di legittimita‘ direttamente sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della palese irragionevolezza della norma impugnata supera invece il vaglio di ammissibilita’.
Non e’ condivisibile a tal proposito l’eccezione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui il giudice a quo non avrebbe sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione. È vero che l’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 non esonera espressamente le apparecchiature destinate all’accertamento dei limiti di velocita‘ dalle operazioni di verifica periodica inerenti alla taratura ed al funzionamento e che ben si potrebbe nel caso in esame ricavare dal testo della disposizione un’interpretazione opposta a quella della Corte di cassazione nel senso di un’implicita prescrizione di verifica periodica di tali sofisticate apparecchiature, la quale sarebbe coerente con l’assunto di base dello stesso giudice rimettente.
Tuttavia, lo stesso giudice a quo richiama come ostativa a detta soluzione ermeneutica l’esistenza di un diritto vivente orientato in senso diametralmente opposto, il quale ribadisce costantemente che «non si ravvisano ragioni per ritenere che la mancata previsione di controlli periodici della funzionalita’ delle apparecchiature in questione nella disciplina dell’accertamento delle violazioni ai limiti di velocita‘ comporti vizi di legittimita‘ costituzionale della pertinente normativain relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Carta fondamentale» (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 15 dicembre 2008, n. 29333; in senso conforme, Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 22 dicembre 2008, n. 29905, sentenza 5 giugno 2009, n. 13062, sentenza 23 luglio 2010, n. 17292, nonche’, da ultimo, Corte di cassazione, sesta sezione civile, sentenza 6 ottobre 2014, n. 20975).
Dalle espresse considerazioni si ricava che – malgrado l’incontrovertibile orientamento di questa Corte secondo cui «In linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche’ e’ possibile darne interpretazioni incostituzionali» (ex multis, sentenza n. 356 del 1996) e conseguentemente, di fronte ad alternative ermeneutiche di questo tipo, debba essere privilegiata quella che il giudice ritiene conforme a Costituzione – nel caso di specie occorre considerare che l’interpretazione, della cui legittimita‘ dubita il rimettente, corrisponde al consolidato orientamento della Corte di cassazione, gia’ in essere prima del precedente scrutinio di costituzionalita’ avvenuto con la sentenza n. 277 del 2007 (ex plurimis, Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenze 5 giugno 1999, n. 5542 e 22 giugno 2001, n. 8515) e successivamente ribadito piu’ volte dalle citate sentenze del giudice nomofilattico anche dopo il pronunciamento di questa Corte.
Ne deriva che «Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo […] di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), e’ altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza – al punto da acquisire i connotati del “diritto vivente’ – e’ ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimita‘ e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalita’, poiche’ la norma vive ormai nell’ordinamento in modo cosi’ radicato che e’ difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore o di questa Corte. In altre parole, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perche’ ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facolta’ di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure – adeguandosi al diritto vivente – la proposizione della questione davanti a questa Corte; mentre e’ in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta piu’ adeguata ai principi costituzionali (cfr. ex plurimis sentenze n. 226 del 1994, n. 296 del 1995 e n. 307 del 1996)» (sentenza n. 350 del 1997).
Non puo’ essere neppure condiviso l’argomento dell’Avvocatura generale dello Stato, la quale valorizza il preteso dissenso giurisprudenziale costituito «dal consistente orientamento dei giudici di merito che […] affermano la necessita’ delle operazioni di taratura periodica anche per tale genere di apparecchiature». In presenza di un diritto vivente cosi’consolidato, eccepire l’esistenza di eterogenei ed isolati pronunciamenti dei giudici di merito non risulta dirimente, anche in considerazione del fatto che la stessa Avvocatura, in altri punti nella sua memoria difensiva, mostra di condividere il richiamato orientamento della Corte di legittimita‘ piuttosto che proporre la ricerca di diversa interpretazione conforme a Costituzione.
5.– Ai fini della definizione del presente giudizio, occorre ulteriormente osservare come non vi sia dubbio che ilconsolidato orientamento della Corte di cassazione sia nel senso che il censurato art. 45 esoneri i soggetti utilizzatori dall’obbligo di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura delle apparecchiature impiegate nella rilevazione dellavelocita‘. Ne consegue che l’argomento addotto dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui le norme regolamentari attuative del suddetto art. 45 del d.l.gs. n. 285 del 1992 limiterebbero l’obbligo di verifica periodica alle apparecchiature di rilevazione automatica, non e’ utile ai fini del presente giudizio di costituzionalita’, posto che oggetto dello stesso e’ il diritto vivente consolidatosi sulla predetta norma di rango primario, il quale non fa distinzione tra le rilevazioni automatiche e quelle realizzate attraverso operatori.
Fermo restando il rilievo che nella giurisprudenza della Corte di cassazione, come detto, non v’e’ traccia di tale distinzione, appare del tutto irragionevole la prospettata discriminazione, poiche’ l’assenza di verifiche periodiche difunzionamento e di taratura e’ suscettibile di pregiudicare – secondo la prospettazione del rimettente – l’affidabilita’ metrologica a prescindere dalle modalita’ di impiego delle apparecchiature destinate a rilevare la velocita‘. Non risolutivo appare in proposito quanto e’ previsto nella direttiva del Ministero dell’interno 14 agosto 2009, laddove si afferma che la rilevazione della cattiva funzionalita’ sarebbe garantita dalle apparecchiature «dotate di un sistema di autodiagnosi dei guasti che avvisano l’operatore del loro cattivo funzionamento». È evidente che il mantenimento nel tempo dell’affidabilita’ metrologica delle apparecchiature e’ un profilo che interessa – secondo la richiamata prospettazione del giudice a quo – anche i meccanismi di autodiagnosi che appaiono suscettibili, come le altre parti delle apparecchiature, di obsolescenza e di deterioramento.
6.– Alla luce di dette precisazioni, la questione sollevata dal rimettente direttamente in riferimento al canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e’ fondata.
Cosi’ come interpretato dalla Corte di cassazione, l’art. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992 collide con il «principio di razionalita’, sia nel senso di razionalita’ formale, cioe’ del principio logico di non contraddizione, sia nel senso di razionalita’ pratica, ovvero di ragionevolezza» (sentenza n. 172 del 1996).
6.1.– Quanto al canone di razionalita’ pratica, appare evidente che qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, e’ soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione. Si tratta di una tendenza disfunzionale naturale direttamente proporzionata all’elemento temporale. L’esonero da verificheperiodiche, o successive ad eventi di manutenzione, appare per i suddetti motivi intrinsecamente irragionevole.
I fenomeni di obsolescenza e deterioramento possono pregiudicare non solo l’affidabilita’ delle apparecchiature, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale.
Un controllo di conformita’ alle prescrizioni tecniche ha senso solo se esteso all’intero arco temporale di utilizzazione degli strumenti di misura, poiche’ la finalita’ dello stesso e’ strettamente diretta a garantire che il funzionamento e la precisione nelle misurazioni siano contestuali al momento in cui la velocita‘ viene rilevata, momento che potrebbe essere distanziato in modo significativo dalla data di omologazione e di taratura.
6.2.– Sotto il profilo della coerenza interna della norma, come interpretata dalla Corte di cassazione, si appalesano altresi’ evidenti aporie. Occorre a tal proposito considerare che nelle richiamate disposizioni l’uso delle apparecchiature di misurazione e’ strettamente collegato al valore probatorio delle loro risultanze nei procedimenti sanzionatori inerenti alle trasgressioni dei limiti di velocita‘.
L’art. 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede infatti che «Per la determinazione dell’osservanza dei limiti divelocita‘ sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, […] nonche’ le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento». Detta soluzione normativa si giustifica per la peculiarita’ della fattispecie concreta che – allo stato attuale della tecnologia – rende impossibile o sproporzionatamente oneroso riprodurre l’accertamento dell’eccesso di velocita‘ in caso di sua contestazione.
È evidente che, al fine di dare effettivita’ ai meccanismi repressivi delle infrazioni ai limiti di velocita‘, la disposizione realizza in modo non implausibile e non irragionevole un bilanciamento tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle situazioni soggettive dei sottoposti alle verifiche. È vero infatti che la tutela di questi ultimi viene in qualche modo compressa per effetto della parziale inversione dell’onere della prova, dal momento che e’ il ricorrente contro l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare – onere di difficile assolvimento a causa della irripetibilita’ dell’accertamento – il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura. Tuttavia, detta limitazione trova una ragionevole spiegazione nel carattere di affidabilita’ che l’omologazione e la taratura dell’autovelox conferiscono alle prestazioni di quest’ultimo.
In definitiva il bilanciamento realizzato dall’art. 142 del codice della strada ha per oggetto, da un lato, interessi pubblici e privati estremamente rilevanti quali la sicurezza della circolazione, la garanzia dell’ordine pubblico, la preservazione dell’integrita’ fisica degli individui, la conservazione dei beni e, dall’altro, valori altrettanto importanti quali la certezza dei rapporti giuridici ed il diritto di difesa del sanzionato. Detto bilanciamento si concreta attraverso una sorta di presunzione, fondata sull’affidabilita’ dell’omologazione e della taratura dell’autovelox, che consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici. Proprio la custodia e la conservazione di tale affidabilita’ costituisce il punto di estrema tensione entro il quale la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa del sanzionato non perdono la loro ineliminabile ragion d’essere.
Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza della funzionalita’ delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta incertezza quando queste ultime non vengono effettuate.
In definitiva, se «il giudizio di ragionevolezza [di questa Corte], lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita’ dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita’ rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita’ che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988) e se la prescrizione dell’art. 142, comma 6, del codice della strada nella sua astratta formulazione risulta immune dai richiamati vizi di proporzionalita’, la prescrizione dell’art. 45 del medesimo codice, come costantemente interpretata dalla Corte di cassazione, si colloca al di fuori del perimetro della ragionevolezza, finendo per comprimere in modo assolutamente ingiustificato la tutela dei soggetti sottoposti ad accertamento.
Il bilanciamento dei valori in gioco realizzato in modo non implausibile nel vigente art. 142, comma 6, del codice della strada trasmoda cosi’ nella irragionevolezza, nel momento in cui il diritto vivente formatosi sull’art. 45, comma 6, del medesimo codice consente alle amministrazioni preposte agli accertamenti di evitare ogni successiva taratura e verifica.
7.– Dunque, l’art. 45, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992 – come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione – deve essere dichiarato incostituzionale in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ siano sottoposte a verificheperiodiche di funzionalita’ e di taratura.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimita‘ costituzionale dell’art. 45, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocita‘ siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita’ e di taratura.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
Cassazione III civile del 18 giugno 2015, n. 12594
Svolgimento del processo
m.a. , P.A. e M.A. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Padova, L.A. , M.D. e la Universo Assicurazioni s.p.a. ‘ quali, rispettivamente, proprietaria dell’autovettura Renault 5, conducente della stessa e compagnia assicuratrice ‘ al fine di ottenere il risarcimento dei gravi danni da lesioni subiti dalla minore Antonietta, a seguito dell’incidente stradale avvenuto il (omissis) in (‘), mentre essa A. , in sella alla propria bicicletta, percorreva la via (omissis).
M.A. era stata infatti improvvisamente tamponata dall’auto condotta da M.D. che sopraggiungeva a forte velocita’.
I convenuti si costituirono contestando la domanda e rilevando che la ciclista aveva posto in essere una manovra non presegnalata di spostamento improvviso da una corsia ad un’altra che aveva impedito qualsiasi manovra di emergenza. L’assicurazione dava atto di aver versato, oltre all’acconto di L. 100.000.000, l’ulteriore somma di Euro 60.000,00.
Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 466/2005, ritenuta la concorrente responsabilita’ dei due mezzi ai sensi dell’art. 2054, 2 comma, c.c. e considerati gli acconti versati, condanno’ i convenuti al versamento della sola residua somma di Euro 4.500,00 a titolo di spese processuali e di c.t.u..
Proposero appello M.S. (essendo nel frattempo deceduto il padre m.a. ), M.S. ‘ sorella e amministratrice di sostegno di M.A. ‘ M.A. , P.A. ‘ madre ‘ e M.S. , F. , G. , M. e Ad. ‘ fratelli ‘ chiedendo l’accertamento della responsabilita’ esclusiva o, quantomeno, prevalente di M.D. e una maggiore quantificazione del danno, previo supplemento di c.t.u..
Si costitui’ la sola Italiana Assicurazioni la quale chiese il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’appello ha dichiarato che il sinistro si verifico’ per colpa concorrente di M.A. e M.D. , nella misura del 50% ciascuno; ha condannato L. , M. e Universo Assicurazioni, in solido tra loro, al pagamento in favore di M.A. dell’ulteriore somma di Euro 56.235,00 oltre accessori.
Propone ricorso per cassazione M.S. , nella qualita’ di amministratore di sostegno a tempo indeterminato ex lege 9 gennaio 2004 n. 6, di M.A. .
Gli intimati non svolgono attivita’ difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso parte ricorrente lamenta ‘Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione di legge in relazione agli artt. 1219 ‘ 1224 ‘ 1223 c.c.; e art. 360 n. 5 per omessa motivazione’.
Sostiene M.S. che l’impugnata sentenza difetta di convincenti argomentazioni sulla liquidazione di interessi e svalutazione monetaria.
Il motivo e’ fondato.
Appare infatti evidente il difetto di motivazione in quanto dire che ‘pare’ il Tribunale aver liquidato interessi e svalutazione integra una motivazione perplessa e come tale insufficiente.
Con la suddetta espressione non si risponde infatti adeguatamente alla specifica doglianza della ricorrente e non si da alcuna certezza che gli accessori di lite siano stati effettivamente liquidati.
Con il secondo motivo si denuncia ‘violazione dell’art. 360 sub 3 per violazione di legge: inderogabilita’ dei minimi di tariffa (art. 24 Legge 794/1942 e obbligatorieta’ dei diritti; ed errore in procedendo ex art. 91 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c. per mancato esame di atti della causa’.
Ritiene la ricorrente che la liquidazione delle spese giudiziali e’ inferiore ai minimi previsti dalla tariffa professionale al tempo vigente.
Il motivo e’ fondato.
Per costante giurisprudenza di questa Corte infatti ‘In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non puo’ limitarsi ad una globale determinazione, in misure inferiori a quelle esposte, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimita’, l’accertamento della conformita’ della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione alla inderogabilita’ dei relativi minimi, a norma dell’art. 24 della legge n. 794 del 1942; tuttavia, ove il ricorso per cassazione avverso la liquidazione delle spese processuali operata dal giudice non riporti le singole voci della nota spese ridotta globalmente, esso non consente di verificare la pretesa violazione dei minimi, sia per i diritti che per gli onorari, e, pertanto, non essendo autosufficiente, e’ inammissibile. Tali principi valgono in tutti i casi di scostamento dagli importi richiesti con la nota spese, anche se dovuti a pura e semplice pretermissione di quest’ultima da parte del giudice, che erroneamente abbia ritenuto non prodotta la nota, perche’ cio’ che rileva e’ il rispetto o meno dei limiti tariffari (Cass., 3 novembre 2005, n. 21325).
Nel caso in esame la liquidazione di diritti ed onorari appare inferiore ai minimi tariffari, quantomeno in riferimento agli onorari. A p. 12 del ricorso infatti la ricorrente riporta la notula che, essendo stata depositata tempestivamente in cancelleria, in appello, non avrebbe potuto essere liquidata d’ufficio.
Con il terzo motivo si denuncia ‘violazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3 per violazione di legge (artt. 2054 ‘ 2059 ‘ 1226 e 1223 c.c.) e violazione del principio di integralita’ del risarcimento del danno per aver ritenuto non dovuto il danno alla vita di relazione ed esistenziale’.
Sostiene la ricorrente che si impone, nell’ambito del danno non patrimoniale, la liquidazione del danno esistenziale, in forza del principio dell’integrita’ del risarcimento di cui agli artt. 1223-2059-2054 c.c. ribadito da Cass. S.U. 26972/2008.
Il motivo e’ fondato.
Il principio consolidato seguito dalla giurisprudenza di legittimita’, dopo la pronuncia delle Sezioni unite e sino ad oggi, e’ quello secondo il quale il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude la possibilita’ di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, pero’, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalita’ di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass., 23 settembre 2013, n. 21716).
Nella specie, pertanto, cio’ che rileva e’ l’accertamento del se la sentenza impugnata abbia o meno proceduto alla personalizzazione, nel ristoro del danno, delle diverse componenti non patrimoniali, delle quali pur deve tenersi conto a tal fine.
Sul punto la Corte d’appello non risulta avere proceduto alla personalizzazione del danno sotto tutti i profili del danno non patrimoniale (S.U. n. 26972/2008).
In conclusione, i motivi devono essere accolti, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
La Corte di rinvio procedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione